Questo treno non è soltanto un treno, questo treno è una distanza. Potrei dire che sono appena salito sulla distanza e che sto tornando indietro, nel tempo e nello spazio. Sono arrivato a B. in treno e in treno da B. vado via.
Dal treno avevo visto la città avvicinarsi - muri, tetti, ciminiere, facce, pensiline, facchini - e la sua anima mi aveva fatto prigioniero: come una animale in trappola, ho preso a vagare per la stazione tra altoparlanti, grandi orologi con lancette lunghe un metro, e poi valigie, odori di panini e grandi tabelloni neri con lettere e numeri in rapida rotazione e dove prima era scritto Wien 6.45, subito dopo - cla-cla-cla-cla-cla - si leggeva Milano 7.12; e dove era scritto Venezia 6.52, un attimo dopo - cla-cla-cla-cla-cla - si leggeva Paris 7.27. Ma adesso la città si allontana.
Tabelloni, panini, valigie, lancette, altoparlanti, facchini, pensiline, facce, ciminiere, tetti, muri. E poi la campagna. In treno, quando la città finisce, la campagna assume paradossalmente un che di violento: e quello è il momento in cui di solito ogni viaggiatore smette di guardare fuori; non tanto perché non c’è più niente da vedere, ma piuttosto perché la desolazione ti comprime lo sterno. E allora preferisci volgere lo sguardo sui volti di coloro che ti siedono accanto.
E adesso mi sembra che le persone nel mio scompartimento siano esattamente le stesse di quando arrivai. Quasi giurerei che la donna di mezza età seduta al centro della fila di fronte alla mia, era lì pure nel viaggio d’andata; e la giovane coppia ora seduta alla mia destra, sia la stessa che fece tutto il viaggio d’andata con il muso lungo. E l’uomo con il giaccone nero che ora ho proprio di fronte a me, accanto al finestrino, di sicuro era lì anche l'altra volta.
Venire via, andarsene, tornare indietro: a voler essere indulgenti con se stessi queste parole sembrano esprimere una riconquista della propria vita; ma in realtà dietro di esse svirgola la sconfitta e quell’unico posto rimasto libero nel mio scompartimento sembra riservato al dietrodime, a ciò che lascio. So bene che altri viaggiatori occuperanno quel posto e che magari, già alla prossima stazione, riempiranno quello spazio vuoto; ma nel frattempo, come per esorcizzarlo, la donna di mezza età ci appoggia la propria borsa, grande, capiente. Lei un pezzo della sua vita indietro ce l’ha stipata lì dentro.
La giovane coppia al momento non presenta visi lunghi, ma parla a mezzavoce lasciando mano libera all’ansia postuma, sì, hai capito, quella cui s’indulge quando si è in due, quella che ti porta inutilmente a dire avremo preso tutto? Perché quando si è in più di due, i toni della conversazione sono sempre più rilassati (tanto, anche se uno avesse dimenticato qualcosa, probabilmente uno degli altri la avrà), mentre, quando si è da soli, non ci sono vie di mezzo: o sei in preda alla trepidazione o sei vittima della melanconia; in ogni caso non hai spazi liberi per l’ansia postuma. Se invece sei in due (mi riferisco soprattutto alle coppie) l’ansia postuma sale: probabilmente le valigie saranno state preparate insieme e se nessuno dei due ieri ha pensato a una certa cosa, di sicuro adesso in valigia quella certa cosa è la grande assente.
Io non ho motivo di preoccuparmi: il mio bagaglio è talmente leggero, ci sono dentro così poche cose che il vero problema è costituito da quanto quelle poche cose potranno in futuro tenermi ancorato ai giorni da cui cerco di allontanarmi. È vero che ho deciso di portare praticamente soltanto le cose che avevo quando ero arrivato - un paio di cambi di vestiario, qualche libro, i documenti e pochi soldi – ma ovviamente il documento è stato nel frattempo rinnovato, così come pure gli abiti. E i soldi non sono ovviamente gli stessi di quando arrivai, quelli che posai sul banco d'un bar per prendermi il mio primo caffè a B.
I pochi libri che mi sono portato via invece sono gli stessi, ma le loro pagine in questi anni sono state sfogliate anche da lei. Lei magari una sera si sarà addormentata leggendone uno, forse più per affetto nei miei confronti che per vero interesse, ma ora quel libro porta con sé atomi dei suoi polpastrelli, del nostro letto, del comodino su cui lo ha poggiato, delle parole che ci siamo scambiati, molecole dell’anidride carbonica che ha espirato mentre lo leggeva.
Niente sarà più come prima.
[Racconto di fantasia. Ogni riferimento a fatti, cose o persone realmenti esistenti o esistite è puramente casuale]