venerdì 25 aprile 2008

Che carini

Che carini. Li vedo uscire dalla chiesa di S. Eusebio a piazza Vittorio, quella sulla gradinata, quella che ha un bel campanile romanico che però tu non riesci a vedere a meno che tu non ti metta dalla parte opposta della piazza, tanto è arretrato rispetto alla facciata. Lei si appoggia a lui e scende un gradino alla volta. Lui, per quanto l'età e la salute non gli siano d'aiuto, con sollecitudine la sorregge. Poi, una volta sulla strada, le dà il braccio. Entrambi indossano un impermeabile stretto in vita da una cinta (nonostante la giornata di sole). Quello di lui mi sembra di colore un tantino più scuro di quello di lei. Che carini. Camminano esattamente allo stesso ritmo anzi, più che camminare, òndulano allo stesso ritmo, lievi, leggeri come la nuvola di capelli bianchi di lei; e a quel punto penso che basterebbe un alito di vento per farli volare via insieme. Li seguo con lo sguardo, li vedo camminare sotto i portici e fermarsi poco più in là dinanzi al portone di un palazzo fineottocento. Lui mette la chiave nella toppa, apre, entra per primo e poi regge il portone aperto fin quando anche lei non sia entrata. A quel punto lui lascia che il portone si richiuda e celi alla mia vista il prosieguo della loro giornata. Ma è facile immaginare lui che chiama l'ascensore, loro che entrano in casa, lei che cucina, lui che si siede in poltrona, lei che scola la pasta, lui che accende la tv, lei che apparecchia, lui che cambia canale, lei che porta i bicchieri in tavola, lui che muore, lei che porta i piatti fumanti. A lui scivola di mano il telecomando, a lei scivolano di mano i piatti. Che carini.

[Racconto di fantasia. Ogni riferimento a fatti, cose o persone realmenti esistenti o esistite è puramente casuale]

giovedì 24 aprile 2008

La vita indietro

Questo treno non è soltanto un treno, questo treno è una distanza. Potrei dire che sono appena salito sulla distanza e che sto tornando indietro, nel tempo e nello spazio. Sono arrivato a B. in treno e in treno da B. vado via.
Dal treno avevo visto la città avvicinarsi - muri, tetti, ciminiere, facce, pensiline, facchini - e la sua anima mi aveva fatto prigioniero: come una animale in trappola, ho preso a vagare per la stazione tra altoparlanti, grandi orologi con lancette lunghe un metro, e poi valigie, odori di panini e grandi tabelloni neri con lettere e numeri in rapida rotazione e dove prima era scritto Wien 6.45, subito dopo - cla-cla-cla-cla-cla - si leggeva Milano 7.12; e dove era scritto Venezia 6.52, un attimo dopo - cla-cla-cla-cla-cla - si leggeva Paris 7.27. Ma adesso la città si allontana.
Tabelloni, panini, valigie, lancette, altoparlanti, facchini, pensiline, facce, ciminiere, tetti, muri. E poi la campagna. In treno, quando la città finisce, la campagna assume paradossalmente un che di violento: e quello è il momento in cui di solito ogni viaggiatore smette di guardare fuori; non tanto perché non c’è più niente da vedere, ma piuttosto perché la desolazione ti comprime lo sterno. E allora preferisci volgere lo sguardo sui volti di coloro che ti siedono accanto.
E adesso mi sembra che le persone nel mio scompartimento siano esattamente le stesse di quando arrivai. Quasi giurerei che la donna di mezza età seduta al centro della fila di fronte alla mia, era lì pure nel viaggio d’andata; e la giovane coppia ora seduta alla mia destra, sia la stessa che fece tutto il viaggio d’andata con il muso lungo. E l’uomo con il giaccone nero che ora ho proprio di fronte a me, accanto al finestrino, di sicuro era lì anche l'altra volta.

Venire via, andarsene, tornare indietro: a voler essere indulgenti con se stessi queste parole sembrano esprimere una riconquista della propria vita; ma in realtà dietro di esse svirgola la sconfitta e quell’unico posto rimasto libero nel mio scompartimento sembra riservato al dietrodime, a ciò che lascio. So bene che altri viaggiatori occuperanno quel posto e che magari, già alla prossima stazione, riempiranno quello spazio vuoto; ma nel frattempo, come per esorcizzarlo, la donna di mezza età ci appoggia la propria borsa, grande, capiente. Lei un pezzo della sua vita indietro ce l’ha stipata lì dentro.
La giovane coppia al momento non presenta visi lunghi, ma parla a mezzavoce lasciando mano libera all’ansia postuma, sì, hai capito, quella cui s’indulge quando si è in due, quella che ti porta inutilmente a dire avremo preso tutto? Perché quando si è in più di due, i toni della conversazione sono sempre più rilassati (tanto, anche se uno avesse dimenticato qualcosa, probabilmente uno degli altri la avrà), mentre, quando si è da soli, non ci sono vie di mezzo: o sei in preda alla trepidazione o sei vittima della melanconia; in ogni caso non hai spazi liberi per l’ansia postuma. Se invece sei in due (mi riferisco soprattutto alle coppie) l’ansia postuma sale: probabilmente le valigie saranno state preparate insieme e se nessuno dei due ieri ha pensato a una certa cosa, di sicuro adesso in valigia quella certa cosa è la grande assente.
Io non ho motivo di preoccuparmi: il mio bagaglio è talmente leggero, ci sono dentro così poche cose che il vero problema è costituito da quanto quelle poche cose potranno in futuro tenermi ancorato ai giorni da cui cerco di allontanarmi. È vero che ho deciso di portare praticamente soltanto le cose che avevo quando ero arrivato - un paio di cambi di vestiario, qualche libro, i documenti e pochi soldi – ma ovviamente il documento è stato nel frattempo rinnovato, così come pure gli abiti. E i soldi non sono ovviamente gli stessi di quando arrivai, quelli che posai sul banco d'un bar per prendermi il mio primo caffè a B.
I pochi libri che mi sono portato via invece sono gli stessi, ma le loro pagine in questi anni sono state sfogliate anche da lei. Lei magari una sera si sarà addormentata leggendone uno, forse più per affetto nei miei confronti che per vero interesse, ma ora quel libro porta con sé atomi dei suoi polpastrelli, del nostro letto, del comodino su cui lo ha poggiato, delle parole che ci siamo scambiati, molecole dell’anidride carbonica che ha espirato mentre lo leggeva.

Niente sarà più come prima.


[Racconto di fantasia. Ogni riferimento a fatti, cose o persone realmenti esistenti o esistite è puramente casuale]

martedì 22 aprile 2008

Sera d'aprile (haiku)

Sera d'aprile,
Tè russo affumicato.
Quattro chiacchiere.

lunedì 21 aprile 2008

E' stato un attimo

E' stato un attimo. Oggi con il mio Foresight me ne venivo bello bello sulla mia corsia libera, quando improvvisamente dalla fila di macchine ferme nella corsia alla mia destra esce un taxi senza mettere la freccia e soprattutto senza guardare me che gli stavo a pochi metri. Mi taglia la strada, io freno, la ruota davanti slitta, riesco comunque a tenere in piedi lo scooter ed evito l'impatto, impreco e metto un piede a terra, anche il tassista inchioda. Poi il tassista riparte e mette la mano sinistra fuori del finestrino in segno di scusa, quella stessa mano sinistra che un attimo prima aveva girato lo sterzo tutto a sinistra. A bordo, sul sedile posteriore, un cliente. Chissà cosa si saranno detti. Il tassista avrà detto «Oddio, non l'avevo proprio visto». E il cliente avrà detto « Eh, questi sulle due ruote sgusciano da tutte le parti». Mah. l'importante è che nessuno dei due abbia dovuto dire «Sì, presto! Serve un’ambulanza in via Cristoforo Colombo all’angolo con la Laurentina; c’è stato un incidente; un motociclista è caduto, sembra ferito».

domenica 20 aprile 2008

C'è gente lassù

Escursione da Pescasseroli al Rifugio Jorio. A regola, una passeggiata. Peccato che, nonostante oggi sia il 20 di aprile, di neve ce n'è ancora parecchia, il che rende ardua la salita senza un'attrezzatura adeguata. Siamo in tre. Che facciamo? torniamo indietro? Mah... proviamo almeno per un pezzo. dopo un po': Che facciamo? torniamo indietro? Ma no dai, facciamo un altro pezzetto. E insomma, pezzetto pezzetto, arriviamo a una sella. Per tutto il percorso non incontriamo un'anima viva. A questo punto proviamo a procedere oltre, ma dopo poco decidiamo di tornare indietro alla sella e di risalire il monte Ceraso, dalla parte opposta. Arrivati quasi in vetta vediamo in lontananza tre escursionisti che nel frattempo sono arrivati al Rifugio Jorio per un altro sentiero. Le tre minuscole figure entrano nel nostro spazio visivo per pochissimo tempo, giusto il tempo per dirci Guarda c'è gente lassù; chissà che strada hanno fatto? Chissà se pure quei tre escursionisti, da lì, ci hanno visti e chissà se anche loro si sono detti: Guarda c'è gente lassù; chissà che strada hanno fatto?