martedì 19 agosto 2008

Una rampa di scale

Al lavoro andavo sempre a piedi. L'ufficio era abbastanza vicino casa e così ne approfittavo per fare un minimo di moto. Lungo la strada, passavo sempre davanti a una scalinata che s'inerpicava su un piccolo rialzo del terreno. I gradini saranno stati, a occhio, novanta o cento, ed erano bianchi o, meglio, lo erano stati: ormai erano ingrigiti dal tempo. D'altronde, le molte foglie gialle sparpagliate erano testimoni più che attendibili dell'incuria del luogo. In tanti anni di casalavorocasa, non vidi mai nessuno salire o scendere quella rampa di scale.
Un giorno in cui, tanto per cambiare, non avevo granché da fare, decisi di deviare dal mio solito percorso e salii la scalinata, contando i gradini.
Quando fui al dodicesimo gradino, vidi me stesso, già in cima alla scale, che mi aspettavo. Quando fui al ventiquattresimo gradino, vidi me stesso, già in cima alla scale, tornare bambino. Quando fui al trentaseiesimo gradino, vidi me stesso, già in cima alla scale, sciogliermi in fango. Quando fui al quarantottesimo gradino, vidi me stesso, già in cima alla scale, nelle spire di un drago. Quando fui al sessantesimo gradino, vidi me stesso, già in cima alla scale, nelle fauci di un leone. Quando fui al settantaduesimo gradino, vidi me stesso, già in cima alla scale, che trattenevo il respiro.
Dopo altri dodici gradini, fui in cima alla scalinata. E diventai silenzio.