martedì 19 agosto 2008

Una rampa di scale

Al lavoro andavo sempre a piedi. L'ufficio era abbastanza vicino casa e così ne approfittavo per fare un minimo di moto. Lungo la strada, passavo sempre davanti a una scalinata che s'inerpicava su un piccolo rialzo del terreno. I gradini saranno stati, a occhio, novanta o cento, ed erano bianchi o, meglio, lo erano stati: ormai erano ingrigiti dal tempo. D'altronde, le molte foglie gialle sparpagliate erano testimoni più che attendibili dell'incuria del luogo. In tanti anni di casalavorocasa, non vidi mai nessuno salire o scendere quella rampa di scale.
Un giorno in cui, tanto per cambiare, non avevo granché da fare, decisi di deviare dal mio solito percorso e salii la scalinata, contando i gradini.
Quando fui al dodicesimo gradino, vidi me stesso, già in cima alla scale, che mi aspettavo. Quando fui al ventiquattresimo gradino, vidi me stesso, già in cima alla scale, tornare bambino. Quando fui al trentaseiesimo gradino, vidi me stesso, già in cima alla scale, sciogliermi in fango. Quando fui al quarantottesimo gradino, vidi me stesso, già in cima alla scale, nelle spire di un drago. Quando fui al sessantesimo gradino, vidi me stesso, già in cima alla scale, nelle fauci di un leone. Quando fui al settantaduesimo gradino, vidi me stesso, già in cima alla scale, che trattenevo il respiro.
Dopo altri dodici gradini, fui in cima alla scalinata. E diventai silenzio.

domenica 17 agosto 2008

I miei due amici

Ho due amici. Uno si chiama Garamasu. L'altro è conosciuto da tutti come Uomo-Fiume. Diciamo che "tutti" è un termine un po' esagerato, dato che sì e no cinque persone in tutto conosceranno Uomo-Fiume; e di queste cinque persone, uno sono io e un altro è Garamasu.
Garamasu non arriva a mezzo metro d'altezza; Uomo-Fiume invece supera i due metri. Garamasu non è mai troppo contento quando ci vediamo tutti e tre insieme, perché dice che dopo gli fa sempre tanto male dietro al collo. Uomo-Fiume è praticamente trasparente: al posto del sangue ha acqua dolce (se l'acqua fosse stata salata sarebbe stato un banalissimo uomo-mare) e di solito vive sul letto dei torrenti.
Il problema di Uomo-Fiume sono i periodi di secca. E' stato giusto nel luglio di qualche anno fa che ci siamo conosciuti. Lui se ne stava tutto ranicchiato in una pozza d'acqua: era tutto quello che rimaneva di un torrente che l'inverno precedente scorreva impetuoso.
Uomo-Fiume, nonostante il suo nome, non ha simpatia per i fiumi veri e propri perché - mi ha confidato - il loro letto è frequentato da un sacco di brutta gente che scende dagli affluenti più disparati. Invece i torrenti di montagna - dice - vengono giù da piccole sorgenti di specchiata limpidezza e virtù.
Il fatto che Uomo-Fiume viva nei bassi fondali dei torrenti montani spiega perché abbia un vocabolario estremamente limitato, tanto limitato che l'unica parola che usa è impervio: «Oggi mi sa che piove, eh?», «Impervio!». «Ieri sera ho bevuto troppo...», «Impervio!». Qualunque cosa gli dici, lui ti risponde «Impervio!». Per tutte le altre parole usa i gesti. E' fatto così.
Garamasu invece è piccolo e scuro di carnagione e dorme negli alberi cavi oppure nelle fessure delle rocce. Ha un sacco di parenti, tanto che potresti dire che non esiste albero cavo al mondo in cui non abbia dormito un suo consanguineo.
Garamasu è un tipo che ti fa tagliare in due dalle risate. Parla velocissimo e nell'arco di cinque minuti ti spazia da discorsi sull'arboricultura (che per lui è un po' come l'architettura per noi, dato che negli alberi ci abita) alle storielle sconce; sa tutto di zoccoli, schioppi, scorpioni e xilofoni, di echi, fibbie e quarantene.
Potresti stare a sentire Garamasu per ore e non ti annoieresti mai, tanto è vasta la sua scienza. Soltanto Uomo-Fiume si stanca un po', a causa della sua acqua arteriosa che gli gorgoglia nelle orecchie; e così, dopo aver sentito uno dei lunghi monologhi di Garamasu, ha sempre le orecchie stanche e una faccia provata.
Secondo me poi Uomo-Fiume e Garamasu non è che stravedano tanto l'uno per l'altro, però a me non lo vogliono dare a intendere, perché sanno quanto io ci tenga alla loro amicizia. Però io lo capisco ugualmente da come Garamasu si massaggia la nuca mentre cerca di stare dietro ai discorsi che Uomo-Fiume fa a gesti; e lo capisco pure da come Uomo-Fiume intercala distratto i suoi «impervio» durante i profluvii di parole che escono dalla bocca di Garamasu.

mercoledì 13 agosto 2008

Tra rocce biance (haiku)

Tra rocce bianche,
si piegavano al vento
i ciuffi d’erba.

[A mio padre, che oggi avrebbe compiuto novanta anni]

martedì 12 agosto 2008

Caldo mattino (haiku)

Caldo mattino
Sulla spiaggia assolata.
Un po’ di fame.

[Questo mio haiku è stato pubblicato nell'antologia Oltre l'autunno. Antologia haiku, a cura di Pietro Tartamella, De Art Multimedia 2006, p. 243. Il volume può essere consultato su Google Ricerca Libri]

lunedì 11 agosto 2008

Scene da un centro commerciale

«No guarda, sono sicuro, è qui da qualche parte, gli rispondo io, non è il caso di chiamare la polizia. Se la chiami, per me è finita, non me la faranno più vedere, lo sai pure tu, sai benissimo come stanno le cose. Se tu vuoi andare, vai, non ti preoccupare, ma non mi rendere tutto più difficile. Tanto dove può essere andata? Abbiamo visto le registrazioni delle videocamere: uscita non è uscita, e comunque ormai sono ore e ore che Emilio sta all’ingresso. Sono sicuro, lei sta qui da qualche parte. Adesso che non c’è più tutta la gente di prima, vedrai che esce fuori».
Ma mentre dico tutte queste cose, mentre parlo e straparlo, il cuore mi batte e ho tutta la bocca secca, mi sembra che la saliva abbia smesso di abitare nella mia bocca, parlo, ripeto che sono sicuro, però intanto sento le gambe strane e la pancia mi tira, mi sembra di dover andare al bagno, e poi – ti assicuro, non so proprio come mai - comincio a pensare a Lucy, la sorella di Linus - forse perché sono passato davanti al negozio di gadgets, quello che vende i biglietti d’auguri e la carta da regalo e i cuscini a forma di cuore, e mi sa che in vetrina c’era un poster dei Peanuts - e insomma alla fine l’immagine di Lucy mi si sovrappone a quella di Daniela, e chi se la sente Daniela se viene a sapere quello che è successo oggi, e allora penso a Lucy quando se la prende con Schroeder, sì, dai, il piccolo pianista fissato con Beethoven, che a me è stato sempre abbastanza antipatico e secondo me Lucy faceva bene a trattarlo male; ma per quanto mi riguarda spero che Daniela non venga mai a sapere quello che è successo oggi qui, sennò altro che Lucy con Schroeder, quella non mi permette di vederla più.
Beh, in caso magari potrei dirle che non potevo certo dire di no al mio capo, lo sai che tipo è, no? lì per lì, se tu gli dici di no, sembra che non se la prende, e anzi ti dice, ‘ok, non ti preoccupare, ho pensato che ti potesse far comodo una giornata extra di lavoro, con lo straordinario e il compenso per la giornata di riposo non goduta, però dài, a posto così, non c’è problema’; e quindi pensi che veramente non c’è problema e che è tutto a posto. Ma poi aspetta di vedere la volta che vado a chiedergli qualcosa... E io questo a Daniela glielo dirò sicuramente. Daniela, se al capo gli dicevo di no per sabato, stai certa che la prima volta che gli andavo a chiedere un favore, mi avrebbe di sicuro risposto picche. Sai, una cosa del tipo ‘Volevo dirle che se ci fosse possibilità di fare qualche ora di straordinario io la farei volentieri, sa, la bambina, l’affitto, le bollette, ormai i soldi non bastano mai’ e sono sicuro, ma sicuro sicuro, che lui allora a me – che sto lì con la camicia della divisa tutta sudata sotto le ascelle - risponderebbe ‘ma come, quel famoso sabato ti avevo proposto una giornata extra, con lo straordinario e il compenso per la giornata di riposo non goduta e tu hai rifiutato e lì sì che si parlava di bei soldini in più in busta e ora mi dici così? Comunque se si presenterà l’occasione te lo farò sapere’. E stai certa Daniela, stai certa che gli straordinari non me li avrebbe mai più fatti fare.
Ma intanto lo so che Daniela se ne fregherebbe di tutta questa mia spiegazione, e direbbe Ma come cazzo ho fatto a mettermi con uno come te, che non sa nemmeno dire un cazzo di no a uno stronzo di capo e poi si va a perdere la figlia.
E allora vallo a dire tu a Daniela che io mi sono raccomandato con Cristina di badare alla piccola e che comunque io sarei passato spesso a dare un’occhiata: mica perché non mi fido, avevo detto a Cristina stamattina, ma solo perché tu lo sai come sono fatto io. E allora Cristina mi ha detto che non mi dovevo preoccupare, che potevo stare tranquillo e che potevo passare quando volevo, che a lei anzi avrebbe fatto piacere.
Ma già mi sento Daniela, Beh certo, Cristina ti dice di stare tranquillo… manco te l’avesse detto il padreterno… Te l’ha detto Cristina! e chi sarebbe poi questa Cristina, no, così tanto per curiosità, che a me adesso come adesso delle sciacquette che ti fai non me ne può fregare di meno, anzi ti dirò che quasi quasi mi dispiace per la tua Cristina, ma adesso io voglio sapere perché hai affidato mia figlia a un’estranea senza nemmeno informarmi.
E sono sicuro che dirà proprio mia figlia, perché in questi casi la figlia è sempre e soltanto sua, mentre quando c’è da comprare i vestiti, le scarpette, da pagare le vacanze, allora la figlia è nostra oppure addirittura soltanto mia, mia nel senso proprio di me Luciano. E poi lei lo sa benissimo chi è Cristina; del resto pure Daniela qualche volta che è passata qui al Centro Commerciale ha lasciato la piccola al Baby Parking del secondo livello, e ogni volta lei faceva tutta la sceneggiata con il portafoglio in mano, non so se ti ricordi, sono la moglie di Luciano della vigilanza, e così Cristina diceva Ah sì certo, come no, ciao! e ciao anche a te piccola, e poi, Ma no dai non ti preoccupare, Luciano è sempre così disponibile con noi, non mi devi nulla, figurarsi, è un piacere.
E io proverò a dire tutto questo a Daniela, ma già lo so che io non avrò nemmeno fatto in tempo a iniziare a spiegarle chi è Cristina che lei avrà già cominciato a piangere e allora si siederà sui gradini e io allora proverò a sedermi vicino a lei e proverò a dirle che la polizia sta facendo tutto il possibile e che la piccola deve per forza stare ancora dentro il Centro Commerciale, ci proverò, ma lei neanche mi farà avvicinare e mi strillerà contro vattene brutto disgraziato che mi hai rovinato la vita, ma stavolta giuro che te la faccio pagare, fosse l’ultima cosa che faccio al mondo, spera solo che la ritrovino subito, perché sennò ti giuro, quantevvèriddìo, che questa è la volta buona che t’ammazzo.
E mentre io sto lì a immaginarmi tutta la scena, continuo a camminare insieme a Simone tra i corridoi del Centro Commerciale.

[Racconto di fantasia. Ogni riferimento a fatti, cose o persone realmenti esistenti o esistite è puramente casuale]

mercoledì 6 agosto 2008

Renata

Già soltanto per il fatto che ti chiami Renata mi stai antipatica. Ma puoi chiamarti Renata? Già dal nome si capisce che sei una persona insopportabile. Cambia nome, no? O per lo meno cambia ufficio e non lavorare alla scrivania accanto alla mia; quante scrivanie ci saranno al mondo? Miliardi? E dovevi scegliere proprio quella accanto alla mia? E oltre che mi lavori accanto, oltre che ti chiami Renata, oltre che sei antipatica e insopportabile come solo le Renate sanno esserlo, vuoi anche parlare con me. Ma scusami… io ti ho mai chiesto niente? Un giorno ci siamo presentati; tu mi hai detto come ti chiami e da allora stop, basta, capitolo chiuso. Io ti ignoro e tu ignora me: guarda che non mi offendo.
E invece niente. Io me ne sto alla mia scrivania (pc, portapenne, telefono, cartelle e faldoni) a leggermi o meglio a decifrare uno scartafascio del Ministero mandato a catafascio da un'irriverente tazza di caffé, e Renata (che già solo il nome mi fa salire il sangue al cervello) vuole parlare. Con me.
Che leggi?
Diciamocelo: è insolente quasi quanto la mia vicina che non so neanche come si chiama; però a questo punto comincio a sospettare che si chiami Renata pure lei.
Roba di lavoro, sibilo io.
Accidenti, si è macchiata parecchio, com’è successo?
Unatazzamisièrovesciata, bofonchio.
Che peccato, ma non puoi fartela ristampare?
E tu non potresti farti riprogrammare? Ma dato che sono una persona per bene mi limito a risponderle No purtroppo, è un dattiloscritto in copia unica. Con la coda dell’occhio noto un suo sconcerto, però non saprei dirti se per la sorpresa che esistano ancora dei dattiloscritti o per l’assoluta incapacità di gestire il termine dattiloscritto. per fortuna, lo sconcerto di Renata (madre mia, che cazzo di nome) ha come corollario che il penoso dialogo si arrende, per cedere il passo a un più dignitoso silenzio.

[Racconto di fantasia. Ogni riferimento a fatti, cose o persone realmenti esistenti o esistite è puramente casuale]

domenica 3 agosto 2008

Valle Maira

Uno dei mille motivi per i quali rendiamo grazie agli dei che ci hanno dato i computer è dato dal fatto che i fotoalbum e i blog ci sollevano dall'ingrato compito di vedere e far vedere le foto e le diapositive delle vacanze. Per cui, se tu vuoi farmi vedere le immagini-ricordo delle tue incredibili esperienze vacanziere, mettile su Flickr e dammi l'indirizzo... quando sarò in vena di spararmi sette o ottocento foto del tuo soggiorno a FormenteraRiminiMaldiveCancunViareggio, lo farò: conscio e all'opra ben disposto.
Nella medesima guisa, se tu - giulivo per le quattro doppiomalto che ti sei già tracannato mezz'ora fa - volessi dedicare del tempo a conoscere i dettagli del trekking che ho fatto in Valle Maira (nel cuneese) a metà luglio, puoi leggerti il mio dettagliato resoconto (in formato pdf, con tanto di foto) oppure puoi metterti a sfogliare il mio fotoalbum di circa duecento foto da me scattate in Valle Maira. Colgo l'occasione per ringraziare gli amici del forum Montagna per tutti, per i consigli!

giovedì 22 maggio 2008

Comunicazione di servizio!!!

Ho messo in lizza l'haiku "Sera d'aprile" (postato in questo blog il 22 aprile) per il Concorso Internazionale Haiku 2008 - 2008 International Haiku Contest. Allora, dato che hai tanta buona volontà da leggere questo blog, fai un altro piccolo sforzo: clicca QUI, regìstrati e votami (puoi dare un voto da 1 a 10). Il numero di voti non è vincolante per la giuria, però ha comunque un valore indicativo.
Diciamocelo: se stai leggendo questo blog, vuol dire che hai un sacco di tempo da perdere... quindi se perdi altri cinque minuti per dare un tuo voto al mio haiku, non credo che la tua vita ne trarrà nocumento.

P.S.: nella sciagurata ipotesi che tu possa ignorare cosa sia un haiku, sappi che è un tipico componimento poetico giapponese composto da tre versi di 5-7-5 sillabe:
Se|ra|d'a|pri|le,-Tè|rus|so^af|fu|mi|ca|to.-Quat|tro|chia|cchie|re
(la o finale di russo viene assimilata per sinalefe alla a iniziale di affumicato). Spero di essere stato chiaro... ma anche se non lo fossi stato, tu va' e vota!

mercoledì 14 maggio 2008

La poesia è pericolosa (un racconto patafisico)

“Stanotte i lupi potrebbero scendere in paese recitando versi e recitando versi incantare le greggi, e si sa che se i lupi reciteranno i loro versi i pastori e i loro cani di sicuro s’addormenteranno”.
“Te ne preoccupi troppo tardi. I lupi sono già venuti giù, e tutti in paese si sono chiusi in casa e si sono tappati le orecchie, l’ho visto con i miei occhi: i vecchi con i tappi nelle orecchie e con le mani sulle orecchie dei nipoti e i nipoti piangere; io l’ho visto con questi miei occhi, ma tu dov’eri? io li ho visti con i miei occhi e con le orecchie tappate li ho visti scendere a valle e fare scempio della valle e fare scempio dei loro stessi versi e con i loro stessi versi scempiati annerire definitivamente il tramonto”.
“E il nero e il sangue sono diventati una cosa sola?”
“No, non ancora”.

[Racconto di fantasia. Ogni riferimento a fatti, cose o persone realmenti esistenti o esistite è puramente casuale]

mercoledì 30 aprile 2008

Acrostici venali

Sono un mago degli acrostici. Oggi come oggi è inutile che provi a scrivere una classica poesia d’amore: ancora prima di leggerla, lei ti dirà che la sei andata a scopiazzare dal web; se poi scrivi due righe soltanto, dirà che le hai copiate dai baciperugina. La soluzione sono gli acrostici, ovvero le poesie i cui versi iniziano con le lettere che compongono il nome di lei. Lei si chiama Laura? Cinque versi, il primo inizia con L, il secondo con A, e così via. E allora quando ti dirà Dove l’hai copiata? Tu gli dirai Prova a leggere in verticale. Però potresti aver trovato un sito di acrostici: allora mettici dentro qualcosa di specificamente personale (il colore dei capelli, lo sport da lei praticato, il segno zodiacale oppure, se proprio non ti viene niente di meglio, vai con gli occhi…) e vedrai che l’effetto è assicurato. Non ci credi? Dài, facciamo una prova; Ehi Dante, come si chiama la tua ragazza? Ok. Guarda un vero maestro all’opera:
Bianche le tue mani dalle dita allungate,
Eterei e limpidi i tuoi begli occhi;
Accendi, graziosa, l’ardor d’ogni vate
Tal ch’ogni cor d’amor trabocchi.
Rimani. E ti porterò con me tra i nimbi,
In questo notte di stelle luminosa.
Cesserò io di vagare per inferi e limbi
E mi beerò di cantar la tua facie preziosa.
Altro che le tue menate paradisiache. Non ho mica dovuto scomodare quella lagna di Virgilio. Mica mi sono messo a fare un milione di terzine. E poi non stare a guardare la metrica, l’importante è che suoni bene, il tuo obiettivo non è mica di essere pubblicato su un’antologia scolastica. Anzi una certa semplicità rende il tutto più autentico, meno pensato, meno copiato. L’importante è che ci schiaffi sempre dentro la parola notte. Per il resto è tutta discesa. Le rime usale solo se sono difficili (tipo la bellissima coppia vittima, intima, la più bella rima di tutto il vocabolario italiano), ma se devi ridurti a far rimare participi e infiniti, è meglio che lasci stare. Però ti devo avvertire: farle arrossire non ti risolverà niente. Sta pur sicuro che non ottieni niente con una poesia. Quindi se vuoi trarne una qualche utilità, versifica sempre e solo per denaro.

[Racconto di fantasia. Ogni riferimento a fatti, cose o persone realmenti esistenti o esistite è puramente casuale]

venerdì 25 aprile 2008

Che carini

Che carini. Li vedo uscire dalla chiesa di S. Eusebio a piazza Vittorio, quella sulla gradinata, quella che ha un bel campanile romanico che però tu non riesci a vedere a meno che tu non ti metta dalla parte opposta della piazza, tanto è arretrato rispetto alla facciata. Lei si appoggia a lui e scende un gradino alla volta. Lui, per quanto l'età e la salute non gli siano d'aiuto, con sollecitudine la sorregge. Poi, una volta sulla strada, le dà il braccio. Entrambi indossano un impermeabile stretto in vita da una cinta (nonostante la giornata di sole). Quello di lui mi sembra di colore un tantino più scuro di quello di lei. Che carini. Camminano esattamente allo stesso ritmo anzi, più che camminare, òndulano allo stesso ritmo, lievi, leggeri come la nuvola di capelli bianchi di lei; e a quel punto penso che basterebbe un alito di vento per farli volare via insieme. Li seguo con lo sguardo, li vedo camminare sotto i portici e fermarsi poco più in là dinanzi al portone di un palazzo fineottocento. Lui mette la chiave nella toppa, apre, entra per primo e poi regge il portone aperto fin quando anche lei non sia entrata. A quel punto lui lascia che il portone si richiuda e celi alla mia vista il prosieguo della loro giornata. Ma è facile immaginare lui che chiama l'ascensore, loro che entrano in casa, lei che cucina, lui che si siede in poltrona, lei che scola la pasta, lui che accende la tv, lei che apparecchia, lui che cambia canale, lei che porta i bicchieri in tavola, lui che muore, lei che porta i piatti fumanti. A lui scivola di mano il telecomando, a lei scivolano di mano i piatti. Che carini.

[Racconto di fantasia. Ogni riferimento a fatti, cose o persone realmenti esistenti o esistite è puramente casuale]

giovedì 24 aprile 2008

La vita indietro

Questo treno non è soltanto un treno, questo treno è una distanza. Potrei dire che sono appena salito sulla distanza e che sto tornando indietro, nel tempo e nello spazio. Sono arrivato a B. in treno e in treno da B. vado via.
Dal treno avevo visto la città avvicinarsi - muri, tetti, ciminiere, facce, pensiline, facchini - e la sua anima mi aveva fatto prigioniero: come una animale in trappola, ho preso a vagare per la stazione tra altoparlanti, grandi orologi con lancette lunghe un metro, e poi valigie, odori di panini e grandi tabelloni neri con lettere e numeri in rapida rotazione e dove prima era scritto Wien 6.45, subito dopo - cla-cla-cla-cla-cla - si leggeva Milano 7.12; e dove era scritto Venezia 6.52, un attimo dopo - cla-cla-cla-cla-cla - si leggeva Paris 7.27. Ma adesso la città si allontana.
Tabelloni, panini, valigie, lancette, altoparlanti, facchini, pensiline, facce, ciminiere, tetti, muri. E poi la campagna. In treno, quando la città finisce, la campagna assume paradossalmente un che di violento: e quello è il momento in cui di solito ogni viaggiatore smette di guardare fuori; non tanto perché non c’è più niente da vedere, ma piuttosto perché la desolazione ti comprime lo sterno. E allora preferisci volgere lo sguardo sui volti di coloro che ti siedono accanto.
E adesso mi sembra che le persone nel mio scompartimento siano esattamente le stesse di quando arrivai. Quasi giurerei che la donna di mezza età seduta al centro della fila di fronte alla mia, era lì pure nel viaggio d’andata; e la giovane coppia ora seduta alla mia destra, sia la stessa che fece tutto il viaggio d’andata con il muso lungo. E l’uomo con il giaccone nero che ora ho proprio di fronte a me, accanto al finestrino, di sicuro era lì anche l'altra volta.

Venire via, andarsene, tornare indietro: a voler essere indulgenti con se stessi queste parole sembrano esprimere una riconquista della propria vita; ma in realtà dietro di esse svirgola la sconfitta e quell’unico posto rimasto libero nel mio scompartimento sembra riservato al dietrodime, a ciò che lascio. So bene che altri viaggiatori occuperanno quel posto e che magari, già alla prossima stazione, riempiranno quello spazio vuoto; ma nel frattempo, come per esorcizzarlo, la donna di mezza età ci appoggia la propria borsa, grande, capiente. Lei un pezzo della sua vita indietro ce l’ha stipata lì dentro.
La giovane coppia al momento non presenta visi lunghi, ma parla a mezzavoce lasciando mano libera all’ansia postuma, sì, hai capito, quella cui s’indulge quando si è in due, quella che ti porta inutilmente a dire avremo preso tutto? Perché quando si è in più di due, i toni della conversazione sono sempre più rilassati (tanto, anche se uno avesse dimenticato qualcosa, probabilmente uno degli altri la avrà), mentre, quando si è da soli, non ci sono vie di mezzo: o sei in preda alla trepidazione o sei vittima della melanconia; in ogni caso non hai spazi liberi per l’ansia postuma. Se invece sei in due (mi riferisco soprattutto alle coppie) l’ansia postuma sale: probabilmente le valigie saranno state preparate insieme e se nessuno dei due ieri ha pensato a una certa cosa, di sicuro adesso in valigia quella certa cosa è la grande assente.
Io non ho motivo di preoccuparmi: il mio bagaglio è talmente leggero, ci sono dentro così poche cose che il vero problema è costituito da quanto quelle poche cose potranno in futuro tenermi ancorato ai giorni da cui cerco di allontanarmi. È vero che ho deciso di portare praticamente soltanto le cose che avevo quando ero arrivato - un paio di cambi di vestiario, qualche libro, i documenti e pochi soldi – ma ovviamente il documento è stato nel frattempo rinnovato, così come pure gli abiti. E i soldi non sono ovviamente gli stessi di quando arrivai, quelli che posai sul banco d'un bar per prendermi il mio primo caffè a B.
I pochi libri che mi sono portato via invece sono gli stessi, ma le loro pagine in questi anni sono state sfogliate anche da lei. Lei magari una sera si sarà addormentata leggendone uno, forse più per affetto nei miei confronti che per vero interesse, ma ora quel libro porta con sé atomi dei suoi polpastrelli, del nostro letto, del comodino su cui lo ha poggiato, delle parole che ci siamo scambiati, molecole dell’anidride carbonica che ha espirato mentre lo leggeva.

Niente sarà più come prima.


[Racconto di fantasia. Ogni riferimento a fatti, cose o persone realmenti esistenti o esistite è puramente casuale]

martedì 22 aprile 2008

Sera d'aprile (haiku)

Sera d'aprile,
Tè russo affumicato.
Quattro chiacchiere.

lunedì 21 aprile 2008

E' stato un attimo

E' stato un attimo. Oggi con il mio Foresight me ne venivo bello bello sulla mia corsia libera, quando improvvisamente dalla fila di macchine ferme nella corsia alla mia destra esce un taxi senza mettere la freccia e soprattutto senza guardare me che gli stavo a pochi metri. Mi taglia la strada, io freno, la ruota davanti slitta, riesco comunque a tenere in piedi lo scooter ed evito l'impatto, impreco e metto un piede a terra, anche il tassista inchioda. Poi il tassista riparte e mette la mano sinistra fuori del finestrino in segno di scusa, quella stessa mano sinistra che un attimo prima aveva girato lo sterzo tutto a sinistra. A bordo, sul sedile posteriore, un cliente. Chissà cosa si saranno detti. Il tassista avrà detto «Oddio, non l'avevo proprio visto». E il cliente avrà detto « Eh, questi sulle due ruote sgusciano da tutte le parti». Mah. l'importante è che nessuno dei due abbia dovuto dire «Sì, presto! Serve un’ambulanza in via Cristoforo Colombo all’angolo con la Laurentina; c’è stato un incidente; un motociclista è caduto, sembra ferito».

domenica 20 aprile 2008

C'è gente lassù

Escursione da Pescasseroli al Rifugio Jorio. A regola, una passeggiata. Peccato che, nonostante oggi sia il 20 di aprile, di neve ce n'è ancora parecchia, il che rende ardua la salita senza un'attrezzatura adeguata. Siamo in tre. Che facciamo? torniamo indietro? Mah... proviamo almeno per un pezzo. dopo un po': Che facciamo? torniamo indietro? Ma no dai, facciamo un altro pezzetto. E insomma, pezzetto pezzetto, arriviamo a una sella. Per tutto il percorso non incontriamo un'anima viva. A questo punto proviamo a procedere oltre, ma dopo poco decidiamo di tornare indietro alla sella e di risalire il monte Ceraso, dalla parte opposta. Arrivati quasi in vetta vediamo in lontananza tre escursionisti che nel frattempo sono arrivati al Rifugio Jorio per un altro sentiero. Le tre minuscole figure entrano nel nostro spazio visivo per pochissimo tempo, giusto il tempo per dirci Guarda c'è gente lassù; chissà che strada hanno fatto? Chissà se pure quei tre escursionisti, da lì, ci hanno visti e chissà se anche loro si sono detti: Guarda c'è gente lassù; chissà che strada hanno fatto?

sabato 19 aprile 2008

Raggi obliqui (haiku)

Raggi obliqui.
Le foglie? immobili.
Cena d'estate.

venerdì 18 aprile 2008

Di rito

Coppia seduta al tavolo accanto al mio. Lei piuttosto giovane; lui molto meno. In comune, il lavoro. Dopo le solite chiacchiere di rito (carino qui, hai visto che tipo il cameriere, che vino preferisci, per me è uguale scegli tu), lei attacca a parlare di lavoro. Cerca di rendersi interessante, di mostrarsi all’altezza. Lui si fa vedere interessato e partecipa alla conversazione con cenni di assenso, con monosillabi vari e con il beh certo di rito, ma nei suoi occhi leggi una specie di noia, e non tanto – o quanto meno non soltanto – per l’argomento, ma per la situazione troppo vissuta. La ragazza è carina e tutto sommato merita. Vale la pena di pagarle la cena e sorbirsi il suo volersi mostrare all’altezza pur di potersela scopare, però che noia. Che noia tutta la trafila, Ti va di venire a cena con me una volta o l’altra? Preferenze per il ristorante? Conosco un posticino simpatico, Carino qui, Che tipo il cameriere, Che vino preferisci? Per me è uguale scegli tu, le solite tirate di lavoro, poi vogliamo andare?, il conto, un bacio, ti va di…, ma alla fine è sempre più o meno lo stesso copione.
Alla fin fine forse la serata sarà stata più eccitante per lei che per lui.

giovedì 17 aprile 2008

Il perché di questo blog

Amo guardare gli altri, quelli che non hanno alcuna relazione con me se non per il fatto che loro e io entriamo nel reciproco spazio visivo: la signora dl palazzo di fronte che cura i suoi gerani sul balcone due metri per due; le coppie abbracciate; le ragazze – capello appena fatto – che in macchina battono il tempo sul volante con la mano sinistra mentre ascoltano la radio e aspettano che scatti il verde; il giovane tedesco che fotografa la sua ragazza davanti la fontana del pantheon, con me che in quel momento me ne sto seduto sui gradini della fontana proprio alle spalle della ragazza. E allora mi piace immaginare che magari, quando loro due riguarderanno quella foto sul pc, lui le dirà sei venuta benissimo in questa foto, peccato che questo tizio rovina un po’ la visuale e ovviamente glielo dirà in tedesco mica in italiano, e poi magari dirà con photoshop mi sa che lo cancello o al massimo ritaglio i margini così questo tizio scompare e allora mi immagino lui, il giovane tedesco innamorato della sua ragazza, che – tagliaeincolla, strumento timbro e taglierina – mi raschia via, mi eutanatizza, mi dilegua da quell’orizzonte cui ho appartenuto il tempo di una foto.

Io sono sicuro che uno degli sport preferiti sulla metro (dopo leggere i quotidiani free-press) è cercare di immaginare la vita degli altri, guardandola mentre sta lì, ederata a un mancorrente o adiposata su un sedile. Io no, non amo stare lì a farmi una soap mentale (bella questa, mi sa che me l’ha appunto da qualche parte, così me la riciclo) su un tipo, solo sulla base di come è vestito o di dove posa lo sguardo (sul finestrino appannato? Sugli orecchini della ragazza di fronte? Sul taglio postpostdark dell’ultimo postpostdark che ancora ci crede? Su un tipo in giacca e cravatta tutto distinto che non si è accorto che ha la chiusura lampo scesa?), no: niente soap mentali (te l’avevo detto che me la riciclavo). Voglio soltanto raccontarti quello che mi capita di vedere. Microstorie che mi passano accanto. Relazioni inconsistenti, che mi fanno percepire il mio universo come meno assoluto.

Perché il mondo non è abitato dalle persone, ma dalle relazioni tra le persone.